Articolo apparso su Repubblica del 17 settembre
Il Pd ha scelto la linea del Sì ma i padri nobili del partito, a uno a uno, si vanno sfilando dalla posizione ufficiale.
L’ultimo a declamare il suo No è Walter Veltroni, il primo segretario dei dem, che haaspettato qualche settimana permaturare la sua convinzione: «Mi aspettavo che la richiesta di Zingaretti per una serie di riforme necessarie trovasse maggiore ascolto. Ma non è questo il punto: tagliare i parlamentari senza che ci sia un bicameralismo perfetto non ha molto senso.
E poi mi faccia dire che la mia è una scelta di coerenza: ho qui diverse dichiarazioni di esponenti del Pd – dice Veltroni – che parlano di legge spot, di norme che favoriscono le lobby e le corporazioni elettorali, di riflessi negativi sulla rappresentanza. Non è che puoi cambiare giudizio solo perché cambia il governo…».
L’ex sindaco di Roma chiarisce che ha deciso così «perché non è un voto sul governo», anzi difende Zingaretti «che non deve dimettersi neanche se si perde in Toscana». Ed esprime preoccupazione «per il ritorno al proporzionale, per le preferenze, per un sistema che si va allenando dalla democrazia dell’alternanza. Tutto ciò non produce nulla di buono per la stabilità dei governi e toglie sovranità agli elettori».
Di certo, Veltroni non è solo, nel giro dei fondatori del Pd, a distaccarsi dall’orientamento ufficiale del Pd sul referendum. Basta scorrere la lista dei nomi del comitato promotore datato 2007: Romano Prodi, Arturo Parisi, Rosy Bindi, Anna Finocchiaro sono per il No, posizione cui tende anche – pur senza esternarlo – Massimo D’Alema. E il fatto che Veltroni e D’Alema, storici rivali all’ombra della Quercia, siano oggi sulla stessa sponda è un al-tro effetto curioso di questa campagna referendaria. Per il No un big della Margherita come Pierluigi Castagnetti e figure storiche della sinistra quali Emanuele Macaluso e Aldo Tortorella.
Con Zingaretti, sul fronte del Sì, altri ex segretari o reggenti come Franceschini, Martina e Bersani («solo per non arruolarmi fra chi vuole destabilizzare il governo»), due ex premier quali Letta e Gentilioni, il già segretario dei Ds PieroFassino e l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che all’HuffingtonPost ha detto: «Mi schiero a favore, consapevole che si poteva giungere al voto in un contesto di riforme istituzionali più compiuto».
Il dibattito è vivo. Ma il Pd arriva al referendum più diviso di quanto al Na-zareno avrebbero immaginato.